EUROPA-AFRICA: OLTRE IL PARADIGMA DELLO SVILUPPO, VERSO PARTNERSHIP BIDIREZIONALI

L’Africa è il continente più giovane del mondo: metà dei suoi 1,3 miliardi di abitanti hanno infatti meno di 19 anni. La contigua Europa è invece il più anziano.
Per interagire costruttivamente con questo universo (54 Paesi su un territorio più vasto di Cina, USA, India, Europa e Giappone messi insieme) è necessario abbandonare gli schemi del passato per esplorare nuovi paradigmi.
Ecco cinque piste di riflessione per un futuro comune tra i due continenti.

Avviare un dialogo
Come dice il nigeriano Wole Soyinka (Nobel per la letteratura nel 1986) le relazioni euro-africane degli ultimi cinque secoli sono la storia di un monologo. Quello europeo. Dal trauma collettivo della tratta atlantica e del periodo coloniale, l’Europa fatica a riconoscere come pari le voci e gli interessi africani.
Infatti “non c’è mai stato un riconoscimento reciproco che prendesse atto delle condizioni economiche profondamente cambiate negli ultimi tempi, bensì un confronto mono-direzionale. Ovviamente anche i leader africani hanno le loro responsabilità. È un peccato, perché un dialogo tra pari favorirebbe non poco lo sviluppo delle relazioni umane.”
Mettere in essere un ascolto, serio e dettagliato, delle esigenze altrui potrebbe aprire spazi importanti, tanto sul piano culturale quanto economico, per un Occidente sempre più anziano e in affanno. Per provarci occorre l’umiltà di non avere già in tasca le ricette preconfezionate.

Creare valore insieme
Una cooperazione all’altezza del Ventunesimo secolo problematizza il discorso sullo “sviluppo” e supera il concetto di aiuto monodirezionale, eccetto che nelle situazioni di calamità naturale.
Parafrasando lo storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo “nessuno sviluppa l’altro. Ci si sviluppa insieme”. In questo senso, il vero nodo di una rinnovata relazione Africa-Europa non risiede tanto nella prospettiva di uno che aiuta un altro a “svilupparsi” quanto nel “fare cose insieme” che possano creare valore e senso per entrambe le parti.
Centinaia di milioni di giovani africani non chiedono “aiuto” quanto occasioni formative di qualità, crescita professionale, scambi studenteschi. Migliaia di imprese africane cercano investitori, partner commerciali e accesso ai mercati. Le potenze emergenti (Cina e India, ma non solo) l’hanno capito molto bene e, proprio questo, evitano di porsi su un piedistallo per offrire piuttosto occasioni pragmatiche di scambio e di guadagno reciproco.

Una classe media in crescita
Nonostante sfide e difficoltà, 18 Paesi africani su 54 hanno ormai raggiunto un tenore di vita medio-alto. Lo afferma l’ultima edizione dell’«African Economic Outlook» edito dalla Banca Africana di Sviluppo (AfDB). Il vero motore della crescita è la domanda interna, sostenuta dalla vigorosa crescita demografica
Già oggi ci sono oltre 350 milioni gli africani appartenenti alla classe media con redditi in crescita. Il loro sogno, soprattutto nei contesti anglofoni, non è più fare shopping nelle capitali europee. Bensì sviluppare un proprio business e produrre/consumare “Made in Africa”.
A differenza del passato sono più orgogliosi delle proprie radici culturali africane e, proprio per questo, sempre più esigenti nelle scelte di acquisto e di partnership.

Cultura e creatività
L’orgoglio culturale delle classi medie africane sta gradualmente avviando processi e iniziative di rilettura della modernità tramite paradigmi delle tradizioni locali.
Iniziative come l’insegnamento delle scienze in lingua Yoruba, il lancio della prima piattaforma per sviluppare software nello stesso idioma o l’irrompere sulla scena globale di boutique di alta moda africane potrebbero sembrare episodi di folklore locale.
Tutt’altro. Uno sguardo verso l’Asia dovrebbe far capire quanto la produzione di elementi immateriali endogeni (pensiero, valori culturali), sia la scintilla alla base di qualsiasi storia di successo di una comunità o un Paese.
Il rinascimento culturale in corso ha visto un momento chiave il 6 dicembre 2018 quando, a Dakar, è stato inaugurato il “Musée des Civilisations Noires”, tra i più grandi spazi culturali dedicati al contributo dei popoli di origine africana nel mondo.
Seguendo il pensiero dello storico senegalese Cheikh Anta Diop, pensatore chiave nello smantellare l’impianto eurocentrico dell’Africa come continente senza storia, il museo celebra il contributo africano alla storia del mondo includendo aperture verso un futuro di tecnologia made in Africa.
In quest’ottica appaiono ineludibili le richieste di restituzione del patrimonio artistico africano sottratto dalle potenze coloniali (si stima che il 90% dei pezzi sia oggi all’estero).

Creare valore insieme
Una cooperazione all’altezza del Ventunesimo secolo problematizza il discorso sullo “sviluppo” e supera il concetto di aiuto monodirezionale, eccetto che nelle situazioni di calamità naturale.
Parafrasando lo storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo “nessuno sviluppa l’altro. Ci si sviluppa insieme”. In questo senso, il vero nodo di una rinnovata relazione Africa-Europa non risiede tanto nella prospettiva di uno che aiuta un altro a “svilupparsi” quanto nel “fare cose insieme” che possano creare valore e senso per entrambe le parti.
Centinaia di milioni di giovani africani non chiedono “aiuto” quanto occasioni formative di qualità, crescita professionale, scambi studenteschi. Migliaia di imprese africane cercano investitori, partner commerciali e accesso ai mercati. Le potenze emergenti (Cina e India, ma non solo) l’hanno capito molto bene e, proprio questo, evitano di porsi su un piedistallo per offrire piuttosto occasioni pragmatiche di scambio e di guadagno reciproco.

Imprenditoria e leapfrogging
Il continente più giovane del mondo è accomunato dal crescere di una nuova generazione di imprenditori che non aspettano i propri governi per risolvere sfide e problemi.
La propensione imprenditoriale dei giovani africani è la più alta al mondo. Alcune storiche debolezze del continente come le infrastrutture deboli, le grandi distanze, la scarsa diffusione di intermediari finanziari classici potrebbero così diventare il catalizzatore per l’adozione più rapida di nuove tecnologie.
È il fenomeno del leapfrogging (letteralmente “salto della rana”) ovvero l’adozione diretta di una tecnologia successiva. Un processo già avvenuto per i telefoni cellulari (che hanno soppiantato per sempre le linee fisse) e per il mobile money (il continente meno banacarizzato del mondo è diventato il primo per trasferimenti di denaro via SMS, dopo la fenomeno M-Pesa nato in Kenya nel 2007).
Potrebbe avvenire anche con altre tecnologie, ad esempio con il fotovoltaico. Nonostante numerosi progetti di elettrificazione “tradizionale”, meno del 40% dell’Africa Subsahariana ha un accesso costante alla corrente. Ma il calo del costo per l’autoproduzione solare off-grid sta cambiando lo scenario. Aziende locali come M-KOPA in Kenya, ARED in Rwanda o PEG in Africa Occidentale distribuiscono kit solari pagabili a rate. E milioni di famiglie dell’Africa rurale avranno la luce senza un accesso alla rete elettrica.
In questo scenario di crescente dinamismo non stupisce che le startup africane stiano gradualmente raccogliendo più investimenti da parte di fondi di Venture Capital: nel 2018 1,63 miliardi di dollari in 164 round, con una crescita del 108% rispetto all’anno precedente secondo Partech.

Rischi e opportunità di un futuro per forza condiviso
Ogni giorno in Africa nascono più di 90.000 bambini. Tra loro futuri scienziati, artisti, statisti, imprenditori, medici. Nei decenni il variegato mondo associativo italiano, per tanti versi generoso e instancabile nel portare sollievo alle sofferenze di tanti, ha alimentato inconsapevolmente una potentissima distorsione narrativa del continente e dei suoi abitanti in senso esotico e pietista.
Opere meritorie come costruire servizi sociali (scuole, ospedali e pozzi) non devono nascondere che l’Africa, come ogni zona del mondo, ha molto più bisogno di partner che di salvatori e filantropi. Il continente africano, che non è “in fuga” (gli emigranti africani sono 36 milioni, ovvero meno del 3% della popolazione proprio come qualunque altro continente), chiede solo una reale interazione economica e culturale.
Rendercene conto è, peraltro, forse uno dei pochi modi perché l’Europa, che nel 2050 rappresenterà solo il 4% della popolazione mondiale, per giunta la più anziana, possa evitare una fine patetica e ingloriosa in un mondo sempre più interdipendente e dinamico.

Martino Ghielmi

Fondatore del sito vadoinafrica.com, consulente e formatore specializzato nell’interazione con imprese e creativi africani. Ha maturato esperienze in IPSIA, Accenture Management Consulting, Università Cattolica del Sacro Cuore e E4impact Foundation.