Le sfide dell’AfCFTA per gli imprenditori del settore tessile e moda
PREMESSA A che punto sono gli sforzi dell’industria moda e tessile di contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs)? Da anni la volontà di proporre soluzioni alle sfide globali abbraccia vari aspetti del settore fashion, sia per quanto riguarda le campagne di sensibilizzare sulla non sostenibilità delle produzioni “fast fashion”, in particolare sulla necessità di affrontare il consumo di acqua (SDG 6) e spingere verso una produzione responsabile (SDG 12) sia per i tentativi di stimolare la creazione di lavoro dignitoso (SDG 8). Con l’introduzione dell’Area Continentale Africana di Libero Scambio (AfCFTA), si è data un’ulteriore accelerata agli sforzi nel settore, per valorizzarne il potenziale innovativo e rafforzarne le infrastrutture produttive e di distribuzione (SDG 9) e la capacità di stimolare partenariati intercontinentali tra imprenditori del settore (SDG 17).
Con l’entrata in vigore dell’Accordo sull’Area di Libero Scambio Continentale Africana (AfCFTA) nel 2021, il continente africano è diventato il primo per potenziale volume di scambio in un’area integrata, con una previsione di un incremento del commercio intra-africano del 52%.[1]
Questa nuova fase operativa e gli auspici di funzionamento non si sono tradotti automaticamente in un superamento di alcune criticità preesistenti, tra cui la disponibilità di infrastrutture, quadri legislativi molto diversi tra stati membri, dazi proibitivi, mancanza di piattaforme per mettere in connessione i designer e le industrie e le conseguenti difficoltà nel raggiunger le quote di lavorazione necessarie per qualificare la propria produzione come “Made in Africa”. Il dibattito sull’operativizzazione dell’area di libero scambio non avviene soltanto nelle stanze di potere, in cui sono ancora in corso le negoziazioni con i singoli stati, ma investono anche spazi di dialogo in tutti i settori, tra cui l’ambito della moda.
FASHIONOMICS AFRICA INIZIATIVE
Una delle piattaforme più attive per quanto riguarda il sostegno agli imprenditori nel mondo della moda è il Fashionomics Africa Institute[2], istituito dalla Banca di Sviluppo Africana (AfDB) nel 2016 come mezzo per sostenere le micro e PMI africane che operano nelle industrie creative tra cui fashion, film e catena di valore del cibo e che ha come mandato anche la creazione di un’architettura digitale composta da una piattaforma per mettere in contatto gli imprenditori nel settore Tessile, Abbigliamento e Accessori (TA&A), e da una piattaforma per facilitare l’accesso al mercato tramite e-commerce. Il mandato di Fashionomics comprende anche aumentare la capacità degli imprenditori di accedere a finanziamenti, offrire percorsi di capacity building e mentorship, aumentare la trasparenza nel settore mettendo a disposizione informazioni sul mercato, creare lavoro, fare advocacy e organizzare eventi di disseminazione sul settore[3].
Tra le attività rientranti in questo ultimo punto, la “Fashionomics Africa Webinar Series” e gli incontri sugli effetti dell’accordo AfCFTA sugli imprenditori del fashion sono particolarmente interessanti per il contributo al dibattito. Fashionomics Africa Institute rappresenta un importante intermediario capace di organizzare dei momenti strutturati di dialogo e scambio tra tutti gli stakeholders dell’ambito fashion and design. in questa fase delicata di decreti attuativi e negoziazioni, la programmazione dell’ente ha subito un un’accelerazione per rispondere alle esigenze di formare e mettere in contatto i diversi attori della catena di valore del fashion con i negoziatori degli accordi negli stati dell’unione africana.
IL PARADOSSO DI UN MADE IN AFRICA TROPPO COSTOSO E DELLE IMPRESE COSTRETTE A RALLENTARE LA CRESCITA
Se il mandato del Fashionomics African Institute risulta piuttosto chiaro soprattutto per quanto concerne i destinatari delle iniziative promosse, la qualificazione della produzione dei designer del Continente come “Made in Africa” sembra ancora piuttosto problematica seppur centrale nell’AfCFTA. Secondo Laduma Ngxokolo, ideatore del brand di lusso sudafricano Maxhosa Africa, la mancanza di un database delle che metta in connessione i designer con i produttori delle materie prime spesso impedisce ai brand di raggiungere gli standard di qualità e di lavorazione necessaria per le certificazioni locali. Maxhosa Africa è tra i più noti brand di lusso del Made in Africa, grazie alla lana e ad altre lavorazioni pregiate tipiche della popolazione Xhosa in Sudafrica. Con lo scale-up della sua impresa e l’aumento della domanda interazionale, il brand si è trovato nel paradosso di avere molto capitale a disposizione e grosse difficoltà a soddisfare l’offerta con le risorse nel continente; per soddisfare le richieste dei clienti, Maxhosa Africa ha dovuto investire sull’allevamento e acquistare tessuti dall’Italia o dalla Cina, senza la proporzione 80% di prodotti locali e 20% importati al fine di potersi qualificare come Made in South Africa.
Similarmente la fashionpreneur Mahlet Afework, ideatrice del brand di Addis Abeba Mafi Mafi, conferma che anche la sua impresa ha dovuto rallentare il ritmo di crescita perché le differenze di tariffe per le esportazioni rendevano più difficile vendere o acquistare materia prima nel continente. Il paradosso faceva si che da un lato le tariffe avverse, come i limiti nella logistica intra continentale, rendevano questa opzione “unprofitable” per la sua impresa, dall’altro non poteva acquistare accessori dalla Cina perché questi non raggiungevano gli standard di qualità del West Africa.
RULES OF ORIGIN
Le istanze degli imprenditori e la necessità di regolare il Made in Africa trovano una parziale risposta nelle negoziazioni per la definizione delle “Rules of Origin”[4], ovvero le regole d’origine. Le regole d’origine (RoO) sono disposizioni che determinano la nazionalità di un prodotto, in un contesto del commercio internazionale. All’interno di un’area commerciale dell’AfCFTA, esse specificano le condizioni per cui un prodotto, anche parzialmente importato, scambiato tra le parti dell’accordo può essere riconosciuto come di origine “economica” locale e dunque beneficiare delle agevolazioni dell’AfCFTA. In linea generale, le RoO richiedono che i prodotti siano interamente prodotti in uno Stato dell’AfCFTA, o se vengono utilizzati elementi non locali, che questi siano sostanzialmente trasformati all’interno di uno o più Stati membri.
Nonostante l’AfCFTA sia entrata ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2021, molti problemi sulle regole di origine sono rimasti irrisolti fino a qualche settimana fa. È infatti del 28 gennaio 2022 [5]la notizia del completamento dei negoziati per identificare la nazione di origine di molti prodotti, e di conseguenza la tariffa preferenziale applicabile. In seguito alla riunione degli Stati Membri dell’AfCFTA è stata rilasciata la dichiarazione per cui le RoO sono state risolte per l’87,7% delle merci coperte dall’AfCFTA, comprendendo circa 3.800 linee tariffarie. Sarà inoltre possibile permettere il commercio di altri 850 prodotti sotto le nuove regole d’origine, in attesa dell’approvazione dei capi di stato dell’Unione Africana.
QUANDO IL MADE IN AFRICA DIVENTA MADE IN ITALY: L’ESPERIENZA DI AFRO FASHION E DEI FAB 5 INTERNATIONAL
Lo slancio dell’AFCFTA e l’impatto sul settore tessile e moda non riguarda soltanto i designer nel continente ma si sposta a livello geografico toccando anche la diaspora in Italia, attraverso una riflessione attorno alle stesse sfide ambientali e di produzione. In questo contesto, la realtà italiana che da sei anni si occupa di favorire lo scale up dei designer di origine straniera e che supporta l’ingresso nel mondo dell’alta moda è l’associazione Afro Fashion. L’associazione crede “nel potenziale trasformativo della moda, del design, dell’arte e della cultura come mezzi per lo scambio interculturale, l’empowerment e lo sviluppo economico sostenibile.”
Lo scorso 13-26 ottobre 2021, Afro Fashion ha catalizzato l’attenzione dell’Italia e del mondo con una serie di eventi che hanno posto al centro la creatività afrodiscendente e africana Made in Italy e ha stimolato una riflessione collettiva attorno a temi da anni al centro di dibattito internazionale: il cambiamento climatico, la sostenibilità e l’etica.
Il titolo stesso della sesta edizione dell’Afro Fashion Week Milano è una presa di posizione molto chiara: “Beyond Mitumba, unveiling the unseen (“Oltre Mitumba: svelare l’invisibile”). Mitumba è un termine swahili molto diffuso e indica il reselling di abiti usati provenienti dai Paesi Occidentali nei paesi in via di sviluppo. Questi prodotti alterano il delicato equilibrio dei Paesi Africani e aggravano i problemi di inquinamento ambientale creando discariche di tessuti e compromettendo lo sviluppo creativo e imprenditoriale della moda locale.
Particolarmente rilevante in questa edizione della fashion week, oltre al riconoscimento internazionale sulle testate che riferiscono Condé Nast e la partecipazione di Anna Wintour, Naomi Campbell e Bianca Balti, è il lancio del progetto “Fab Five Bridge Builders International”, ovvero un percorso volto a stimolare la creatività di designer di origine straniera. A partire dai designer del Made In Camerun, questa iniziativa modella un nuovo approccio alla collaborazione creativa internazionale, favorendo lo scambio culturale e lanciando la moda innovativa sulla scena globale. Iniziando con il Camerun nella sua edizione inaugurale, ogni anno mette in evidenza un paese diverso, selezionando cinque designer emergenti di quella regione per partecipare a una sfilata durante la settimana della moda di Milano, per entrare in contatto con acquirenti e mercati, e sviluppare il loro marchio attraverso il supporto di un ecosistema completo di mentorship e sviluppo professionale.
In parte vetrina di moda, in parte missione educativa, in parte scambio culturale, il progetto Fab 5 International Bridge Builders sollecita l’industria della moda a lavorare di più per riflettere la società multiculturale in cui viviamo.
La settimana edizione dell’Afro Fashion Week Milano è un ulteriore passo avanti verso la riduzione delle distanze tra il Made in Italy realizzato da designers di origine straniera e i luoghi di origine. Nelle sfilate digitali tra il 25 e il 28 febbraio 2022, l’associazione e il board creativo WAMI – We Are Made in Italy ha centrato l’obiettivo di rendere visibili gli invisibili: non a caso i designers protagonisti di questa sfilata e gli oltre 4000 profili del sito The Unseen Profiles animano le pagine delle più importanti riviste del settore, non solo in Italia ma nel mondo. Non sorprende perciò che la CEO e Talent Scout dell’associazione Afro Fashion, Michelle Francine Ngonmo, sia stata insignita del premio Bulgari B.zero1 Avrora Awards nella prima edizione Europea lo scorso 27 febbraio a Milano presso la prestigiosa sede dell’Università Luigi Bocconi insieme a Vogue Italia, per la grande trasformazione e innovazione del volto del Made in Italy nel mondo.
CONCLUSIONE
Gli occhi del mondo sono in attesa di capire se l’AfCFTA sarà all’altezza delle premesse e se le previsioni sui volumi di scambi corrisponderanno o meno alla realtà. Ad un anno dall’entrata in vigore le economie nazionali sono ancora impegnate nel tentativo di mitigare gli effetti sociali e politici della pandemia covid-19; seppur non si possa prevedere ciò che succederà nel prossimo futuro, è indubbio che l’area di libero scambio abbia sbloccato alcuni processi di dialogo sulle macro-sfide, e abbia aperto le porte anche a stakeholders settoriali solitamente esterni ai processi decisionali. L’esito positivo dei negoziati per le Rules of Origin porta ad auspicare un sempre più rapido abbandono di sguardi distratti e visioni parziali sugli scambi intracontinentali, e che favoriscano sempre la creatività del Made in Africa e creare condizioni favorevoli per le imprese che crescono rapidamente.
SITOGRAFIA
https://www.fondazioneaurora.org/african-continent-free-trade-area-afcfta/
https://afcfta.au.int/en/afcfta-rules-origin
https://fashionomicsafrica.org/
https://au.int/sites/default/files/documents/30988-doc-rules_of_origin_training_module.pdf
Ada Ugo Abara
Responsabile Area Approfondimenti di Fondazione Aurora